A quanto pare verrà dato il via libera alle torri eoliche sul Passo San Marco, in territorio di Albaredo (SO), ma visibilissime dal versante brembano, da Averara.
L'iniziativa parte dunque da un luogo ma sembra ripercuotersi maggiormente, quanto ad effetti negativi, su un altro. Comuni, Provincie, Regione, sono tutti a vario titolo coinvolti nei procedimenti amministrativi, quindi dovremmo dare per scontato che la trasparenza non sia mancata e l'informazione neppure (in effetti sono circa tre anni che si parla di quel progetto).
Tuttavia, ora che si è prossimi ad autorizzare definitivamente il progetto, si mostrano con più forza quei nodi che non si è riusciti a sciogliere in precedenza e le ostilità al progetto, non privo di un evidente impatto paesaggistico, trovano nuovo slancio.
In casi come questo, più numerosi di quanto non sembri, emerge il mai sopito conflitto tra le regioni dell'ambiente e quelle del paesaggio, tutt'altro che congruenti, anzi, talvolta, in aperta contrapposizione.
Dal punto di vista ambientale, la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili è indispensabile per ridurre, seppure in piccolissima parte, la dipendenza dai combustibili fossili. I vantaggi dovrebbero essere maggiori agli svantaggi (per esempio, inutile nascondere che le torri eoliche non sono il massimo per i volatili, ma si tratta, appunto, di pesare vantaggi e svantaggi decidendo qual è il male minore).
Dal punto di vista paesaggistico i campi fotovoltaici e le torri eoliche sono, molto spesso, dei pugni negli occhi. Non giriamoci troppo intorno: un dolce declivio della Toscana rivestito di pannelli fotovoltaici non è da cartolina, e un crinale che sembra un Golgota moltiplicato per dieci, con modernissimi mulini al posto delle croci, difficilmente finirebbe su un dipinto vedutista.
Poi ci sono gli aspetti più squisitamente tecnici, relativi all'effettiva convenienza economica ed all'efficienza energetica di questi impianti, ma qui non è il caso di affrontare questi argomenti.
Sul conflitto Ambiente vs Paesaggio occorre cambiare registro. E' scontato che le V.I.A. (Valutazioni di Impatto Ambientale) sono uno strumento inefficace, ridotte come sono a mere procedure svolte per necessità e non per capire (innanzitutto da parte degli operatori, ma, soprattutto, da parte delle pubbliche amministrazioni) se un progetto ha un senso oppure no (parlo di senso nell'accezione generale, non per i soli aspetti economici).
Servono processi diversi, più lunghi, inevitabilmente, e più faticosi, molto più faticosi. Serve costruire, intorno al progetto, la partecipazione dei cittadini, serve una informazione completa, corretta, e una capacità di ascolto e di valutazione delle istanze, delle aspettative, delle paure. Per decidere bisogna, prima, avere messo sul tavolo tutte le variabili, averle discusse con coloro che dalla decisione non riceveranno vantaggi se non a lungo o lunghissimo termine, aver eliminato tutte le alternative non praticabili (dopo, ovviamente, averle considerate, cosa che spesso non avviene affatto).
Si perde tempo? Sì, certo, almeno all'inizio. Se un progetto poteva essere approvato in due anni, con processi di questo tipo ne servono tre o quattro. Ma quanti progetti approvati senza confronto "prima", agonizzano in un "poi" fatto di ricorsi, appelli, controricorsi, controappelli, sospensioni e riprese?
L'iniziativa parte dunque da un luogo ma sembra ripercuotersi maggiormente, quanto ad effetti negativi, su un altro. Comuni, Provincie, Regione, sono tutti a vario titolo coinvolti nei procedimenti amministrativi, quindi dovremmo dare per scontato che la trasparenza non sia mancata e l'informazione neppure (in effetti sono circa tre anni che si parla di quel progetto).
Tuttavia, ora che si è prossimi ad autorizzare definitivamente il progetto, si mostrano con più forza quei nodi che non si è riusciti a sciogliere in precedenza e le ostilità al progetto, non privo di un evidente impatto paesaggistico, trovano nuovo slancio.
In casi come questo, più numerosi di quanto non sembri, emerge il mai sopito conflitto tra le regioni dell'ambiente e quelle del paesaggio, tutt'altro che congruenti, anzi, talvolta, in aperta contrapposizione.
Dal punto di vista ambientale, la produzione di energia attraverso fonti rinnovabili è indispensabile per ridurre, seppure in piccolissima parte, la dipendenza dai combustibili fossili. I vantaggi dovrebbero essere maggiori agli svantaggi (per esempio, inutile nascondere che le torri eoliche non sono il massimo per i volatili, ma si tratta, appunto, di pesare vantaggi e svantaggi decidendo qual è il male minore).
Dal punto di vista paesaggistico i campi fotovoltaici e le torri eoliche sono, molto spesso, dei pugni negli occhi. Non giriamoci troppo intorno: un dolce declivio della Toscana rivestito di pannelli fotovoltaici non è da cartolina, e un crinale che sembra un Golgota moltiplicato per dieci, con modernissimi mulini al posto delle croci, difficilmente finirebbe su un dipinto vedutista.
Poi ci sono gli aspetti più squisitamente tecnici, relativi all'effettiva convenienza economica ed all'efficienza energetica di questi impianti, ma qui non è il caso di affrontare questi argomenti.
Sul conflitto Ambiente vs Paesaggio occorre cambiare registro. E' scontato che le V.I.A. (Valutazioni di Impatto Ambientale) sono uno strumento inefficace, ridotte come sono a mere procedure svolte per necessità e non per capire (innanzitutto da parte degli operatori, ma, soprattutto, da parte delle pubbliche amministrazioni) se un progetto ha un senso oppure no (parlo di senso nell'accezione generale, non per i soli aspetti economici).
Servono processi diversi, più lunghi, inevitabilmente, e più faticosi, molto più faticosi. Serve costruire, intorno al progetto, la partecipazione dei cittadini, serve una informazione completa, corretta, e una capacità di ascolto e di valutazione delle istanze, delle aspettative, delle paure. Per decidere bisogna, prima, avere messo sul tavolo tutte le variabili, averle discusse con coloro che dalla decisione non riceveranno vantaggi se non a lungo o lunghissimo termine, aver eliminato tutte le alternative non praticabili (dopo, ovviamente, averle considerate, cosa che spesso non avviene affatto).
Si perde tempo? Sì, certo, almeno all'inizio. Se un progetto poteva essere approvato in due anni, con processi di questo tipo ne servono tre o quattro. Ma quanti progetti approvati senza confronto "prima", agonizzano in un "poi" fatto di ricorsi, appelli, controricorsi, controappelli, sospensioni e riprese?