lunedì 1 dicembre 2008

Perle ai porci

Riporto per estratto:

"...la montagna italiana è stata riconosciuta dai poteri "romani" (sia politici sia economici) per quello che è: un gigante economico e un nano politico. [...] In montagna si produce l'acqua che disseta le città e irriga le pianure, crescono le foreste che purificano l'aria metropolitana, il territorio montano viene utilizzato per le grandi infrastrutture che collegano fra loro le città e addirittura qui si realizzano le discariche per risolvere i problemi causati dall'insipienza e dall'ignavia della politica cittadina. E cosa torna agli abitanti della montagna per la funzione resa dal loro territorio alla collettività nazionale? Tornano le proposte di sopprimere le Comunità Montane, di sopprimere i plessi scolastici sotto i 50 alunni, arriva la creazione di carrozzoni per la gestione dell'acqua che hanno sedi e poteri nelle città. Tornano i tagli costanti da anni dei fondi per la montagna. [...]".

Enrico Borghi - Presidente Nazionale dell'UNCEM (Unione nazionale Comuni Comunità ed Enti Montani)

Il brano che ho riportato, non integralmente ma solo per brevità, è stato pubblicato sull'ultimo numero di Famiglia Cristiana (30 novembre 2008, se non ho appuntato male la data).

Senza tanti fronzoli: è un lamento greco che ci saremmo risparmiati. Lacrime di un coccodrillo che s'è morso la coda per sbaglio.

Se la montagna è tra gli ultimi pensieri della politica, romana o milanese fa poca differenza, lo si deve anche all'incapacità degli amministratori dei territori montani oltre che alla indifferenza dei politici che hanno preso voti in collegi di montagna e una volta seduti sullo scranno di un Consiglio regionale o del Parlamento si sono scordati la provenienza di quei voti. Sinistra e Destra pari sono, sia chiaro.

Però il signor Presidente dice anche cose giuste, sulle quali dovremmo riflettere tutti: che la montagna sia una miniera di buone cose per tutti è senz'altro vero, dalle cime innevate, ai ghiacciai (molto malmessi ultimamente), alle foreste, a flora e fauna, a usi e tradizioni, tutto ciò è risorsa.

Risorsa ambientale e umana, risorsa economica. Paesaggi da preservare e valorizzare, architetture povere in materiali e composizione ma ricche in storia e in cultura del territorio.

Ecco, appunto, il territorio. Un bene che non appartiene a nessuno. Noi apparteniamo a lui, semmai. Un terreno mi appartiene, un territorio, seppur formato da migliaia o milioni di lotti, non appartiene ai proprietari di quei lotti. Esso è vita, la nostra vita. Si astrae dal concetto di proprietà e diventa bene di tutti, anche di coloro che ancora devono venire al mondo.

Da qui si parte quando si parla di "sostenibilità" delle trasformazioni: usare una risorsa comune senza distruggerla, consentendole di rigenerarsi, affinché chi verrà dopo di noi possa goderne a sua volta.

Che c'è di "sostenibile" in una disseminazione di case e condomini in un paese di montagna? Nulla, proprio nulla.

Un deposito temporaneo per cittadini ai quali non importa nulla della montagna ma molto del loro tempo libero, una discarica per lo stress metropolitano, ecco cosa diventa quel paese. Luogo dove le angosce della città vengono forzatamente stemperate in una natura violentata e scaricate su pochi abitanti smarriti all'idea che il modello economico in cui avevano creduto sia fallimentare, ma incapaci di ammetterlo e di costruirne uno nuovo.

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