Chi segue questo blog dalle origini ha avuto modo di leggere più d'una volta le critiche a quelle politiche (in)urbane che favoriscono sempre e comunque il ricorso all'edificazione delle seconde case, vista come panacea ai mali della montagna.
Secondo noi è un po' come curare il raffreddore immergendo il malato nell'acqua ghiacciata. Il raffreddore forse gli passa anche, in compenso probabilmente gli viene la polmonite.
E il dubbio deve aver colto anche altri, almeno così sembra leggendo questo commento su Valbrembana News. Commento particolarmente interessante, a nostro avviso, perché inserito in una notizia riguardante l'abbandono della montagna da parte delle imprese, notizia che fa il paio con quest'altra.
Il post di oggi però non vuole parlare della Val Brembana, ma più in generale del perché le seconde case non possono essere la soluzione ai problemi delle aree montane che perdono abitanti, imprese, e più in generale, attrattività.
Ancora una volta, la risposta non s'inventa, si cerca. Come da anni si preoccupano di fare i pianificatori svizzeri dell'Ufficio federale dello sviluppo territoriale (Bundesamt fur Raumentwicklung).
Dopo un lavoro avviato nel 2008 e durato circa due anni, a giugno 2010 l'UFST ha pubblicato un rapporto intitolato "Abitazioni secondarie. Guida alla pianificazione direttrice cantonale". Lo si scarica liberamente qui.
Già nella prefazione si coglie nel segno: "Nelle regioni turistiche, uno sviluppo territoriale sostenibile è di fondamentale importanza per il mantenimento di un’alta attrattiva e competitività delle stesse nell’ambito della concorrenza fra villaggi di vacanza e regioni turistiche. Uno sviluppo ordinato nel settore della costruzione di abitazioni secondarie è uno strumento indispensabile a questo riguardo. La grande richiesta di abitazioni secondarie, la circostanza che rispetto al settore alberghiero l’occupazione dei letti è molto più bassa e le conseguenze indesiderate legate all’estensione degli insediamenti negli spazi ricreativi rappresentano, nelle regioni turistiche, sfide particolari per la pianificazione del territorio sia a livello comunale, che a livello regionale e cantonale".
E al capitolo 1, si va ben oltre: "A seconda degli interessi particolari, gli effetti di una forte crescita delle abitazioni secondarie sono percepiti in modo completamente diverso: l’edilizia locale, senza un’intensa costruzione di abitazioni secondarie, teme di perdere introiti importanti per la propria esistenza economica. Per gli operatori turistici una varietà sufficiente di abitazioni secondarie di grandezza e caratteristiche diverse assicura l’attrattiva dell’offerta di posti letto di una regione turistica. Il settore alberghiero vede invece minacciata la propria esistenza a causa della persistente pressione di destinare gli spazi ad altri scopi. La popolazione locale in cerca di abitazioni è confrontata con prezzi del terreno e affitti molto alti. Una volta finita l’alta stagione, i villaggi di vacanza assumono un aspetto spettrale, caratterizzato da interi quartieri con le persiane abbassate. Non da ultimo i siti naturali e gli spazi ricreativi, che sono di fondamentale importanza per il turismo, sono minaccia-ti dalla proliferazione delle abitazioni secondarie".
Ce n'è abbastanza per intervenire, devono essersi detti in Svizzera. E un primo passo è stato fissare le soglie "d'attenzione" e "d'allarme" (definizioni mie, n.d.r.): a pagina 11 del rapporto si legge "Per definire la necessità di un intervento pianificatorio, la percentuale di abitazioni secondarie rispetto al totale delle abitazioni disponibili è certamente un criterio importante, ma non l’unico. Una percentuale del 30 % e più di abitazioni secondarie è spesso considerata un indizio sufficiente per intervenire. Se la percentuale supera il 50%, nella maggior parte dei casi la necessità d’intervento è incontestata".
30%, 50%, percentuali lontanissime da certe nostre realtà, nelle quali le seconde case costituiscono oltre il 90% dell'intero patrimonio edilizio privato.
Da noi però si nasconde la testa nella sabbia, o peggio, ci si mostra convinti dell'ineluttabile bontà delle politiche a favore delle seconde case; piccoli Cetto Laqualunque crescono nelle nostre valli, con la differenza che quello almeno, oltre al cemento armato, ci promette anche il "pilu".
Macché "visione intercomunale", macché pianificazione d'area vasta, tutti ad applicare la stessa ricetta ovunque, indistintamente. La chiamano "molteplicità dell'offerta", e riescono persino a non ridere mentre ti raccontano che così facendo i prezzi di mercato delle nuove abitazioni rimarranno più stabili.
A costruire una politica globale e coordinata, ad individuare obiettivi e misure, non ci si pensa proprio, la cultura della gestione del territorio è semplicemente scomparsa dall'orizzonte degli amministratori pubblici. Peggio: il territorio viene difeso solo se la sua tutela non ostacola la lunga marcia del mattone e della rendita fondiaria; se così è, i propositi si squagliano, s'invocano gli amici, i vincoli recedono, le leggi si cambiano.
Con pervicacia degna di miglior causa si continua a guardare solo una faccia della medaglia, quella del giro d'affari generato dalla costruzione, dalla manutenzione, dall'utilizzo delle seconde case. Giro d'affari che esiste, beninteso, e nella produzione di PIL locale occupa un posto di indubbio rilievo, per quanto proporzionalmente misero rispetto a quello degli alberghi, come lo studio svizzero mostra inequivocabilmente con la tabella a pagina 38: con quasi 4 volte la dotazione di posti letto, le 200.000 seconde case in luoghi turistici, generano un volume d'affari pari al 45% di quello dei 3.300 alberghi. E se già questo confronto è impietoso, quello sull'efficienza territoriale è addirittura devastante: "Gli alberghi generano circa CHF 13 milioni di cifra d’affari nel set-tore turistico per ettaro di terreno da costruzione, mentre le abitazioni secondarie producono soltanto una cifra d’affari di circa CHF 0,375 milioni per ettaro. In altre parole, le abitazioni secondarie hanno bisogno di 35 volte più suolo per raggiungere la stessa cifra d’affari degli alberghi".
Un dato, questo, che basta da solo a seppellire la politica delle seconde case. A meno che, alle elezioni, i voti (o altro) te li diano dei muratori.
Secondo noi è un po' come curare il raffreddore immergendo il malato nell'acqua ghiacciata. Il raffreddore forse gli passa anche, in compenso probabilmente gli viene la polmonite.
E il dubbio deve aver colto anche altri, almeno così sembra leggendo questo commento su Valbrembana News. Commento particolarmente interessante, a nostro avviso, perché inserito in una notizia riguardante l'abbandono della montagna da parte delle imprese, notizia che fa il paio con quest'altra.
Il post di oggi però non vuole parlare della Val Brembana, ma più in generale del perché le seconde case non possono essere la soluzione ai problemi delle aree montane che perdono abitanti, imprese, e più in generale, attrattività.
Ancora una volta, la risposta non s'inventa, si cerca. Come da anni si preoccupano di fare i pianificatori svizzeri dell'Ufficio federale dello sviluppo territoriale (Bundesamt fur Raumentwicklung).
Dopo un lavoro avviato nel 2008 e durato circa due anni, a giugno 2010 l'UFST ha pubblicato un rapporto intitolato "Abitazioni secondarie. Guida alla pianificazione direttrice cantonale". Lo si scarica liberamente qui.
Già nella prefazione si coglie nel segno: "Nelle regioni turistiche, uno sviluppo territoriale sostenibile è di fondamentale importanza per il mantenimento di un’alta attrattiva e competitività delle stesse nell’ambito della concorrenza fra villaggi di vacanza e regioni turistiche. Uno sviluppo ordinato nel settore della costruzione di abitazioni secondarie è uno strumento indispensabile a questo riguardo. La grande richiesta di abitazioni secondarie, la circostanza che rispetto al settore alberghiero l’occupazione dei letti è molto più bassa e le conseguenze indesiderate legate all’estensione degli insediamenti negli spazi ricreativi rappresentano, nelle regioni turistiche, sfide particolari per la pianificazione del territorio sia a livello comunale, che a livello regionale e cantonale".
E al capitolo 1, si va ben oltre: "A seconda degli interessi particolari, gli effetti di una forte crescita delle abitazioni secondarie sono percepiti in modo completamente diverso: l’edilizia locale, senza un’intensa costruzione di abitazioni secondarie, teme di perdere introiti importanti per la propria esistenza economica. Per gli operatori turistici una varietà sufficiente di abitazioni secondarie di grandezza e caratteristiche diverse assicura l’attrattiva dell’offerta di posti letto di una regione turistica. Il settore alberghiero vede invece minacciata la propria esistenza a causa della persistente pressione di destinare gli spazi ad altri scopi. La popolazione locale in cerca di abitazioni è confrontata con prezzi del terreno e affitti molto alti. Una volta finita l’alta stagione, i villaggi di vacanza assumono un aspetto spettrale, caratterizzato da interi quartieri con le persiane abbassate. Non da ultimo i siti naturali e gli spazi ricreativi, che sono di fondamentale importanza per il turismo, sono minaccia-ti dalla proliferazione delle abitazioni secondarie".
Ce n'è abbastanza per intervenire, devono essersi detti in Svizzera. E un primo passo è stato fissare le soglie "d'attenzione" e "d'allarme" (definizioni mie, n.d.r.): a pagina 11 del rapporto si legge "Per definire la necessità di un intervento pianificatorio, la percentuale di abitazioni secondarie rispetto al totale delle abitazioni disponibili è certamente un criterio importante, ma non l’unico. Una percentuale del 30 % e più di abitazioni secondarie è spesso considerata un indizio sufficiente per intervenire. Se la percentuale supera il 50%, nella maggior parte dei casi la necessità d’intervento è incontestata".
30%, 50%, percentuali lontanissime da certe nostre realtà, nelle quali le seconde case costituiscono oltre il 90% dell'intero patrimonio edilizio privato.
Da noi però si nasconde la testa nella sabbia, o peggio, ci si mostra convinti dell'ineluttabile bontà delle politiche a favore delle seconde case; piccoli Cetto Laqualunque crescono nelle nostre valli, con la differenza che quello almeno, oltre al cemento armato, ci promette anche il "pilu".
Macché "visione intercomunale", macché pianificazione d'area vasta, tutti ad applicare la stessa ricetta ovunque, indistintamente. La chiamano "molteplicità dell'offerta", e riescono persino a non ridere mentre ti raccontano che così facendo i prezzi di mercato delle nuove abitazioni rimarranno più stabili.
A costruire una politica globale e coordinata, ad individuare obiettivi e misure, non ci si pensa proprio, la cultura della gestione del territorio è semplicemente scomparsa dall'orizzonte degli amministratori pubblici. Peggio: il territorio viene difeso solo se la sua tutela non ostacola la lunga marcia del mattone e della rendita fondiaria; se così è, i propositi si squagliano, s'invocano gli amici, i vincoli recedono, le leggi si cambiano.
Con pervicacia degna di miglior causa si continua a guardare solo una faccia della medaglia, quella del giro d'affari generato dalla costruzione, dalla manutenzione, dall'utilizzo delle seconde case. Giro d'affari che esiste, beninteso, e nella produzione di PIL locale occupa un posto di indubbio rilievo, per quanto proporzionalmente misero rispetto a quello degli alberghi, come lo studio svizzero mostra inequivocabilmente con la tabella a pagina 38: con quasi 4 volte la dotazione di posti letto, le 200.000 seconde case in luoghi turistici, generano un volume d'affari pari al 45% di quello dei 3.300 alberghi. E se già questo confronto è impietoso, quello sull'efficienza territoriale è addirittura devastante: "Gli alberghi generano circa CHF 13 milioni di cifra d’affari nel set-tore turistico per ettaro di terreno da costruzione, mentre le abitazioni secondarie producono soltanto una cifra d’affari di circa CHF 0,375 milioni per ettaro. In altre parole, le abitazioni secondarie hanno bisogno di 35 volte più suolo per raggiungere la stessa cifra d’affari degli alberghi".
Un dato, questo, che basta da solo a seppellire la politica delle seconde case. A meno che, alle elezioni, i voti (o altro) te li diano dei muratori.
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