Torniamo un po' alle origini, con due post, questo il primo, dedicati non tanto a Piazzatorre quanto al leit-motiv che ha guidato le sventure del paesetto e di tanti altri paesetti dell'arco alpino: la bulimia edilizia.
Chiaro che il fenomeno é assai più vasto, riguarda l'Italia intera e non può essere liquidato come circoscritto ad alcune zone più viziose di altre (anche se alcune non commendevoli eccezioni fanno propendere in tal senso).
La consapevolezza del disastro non é certo antica, né solida, basti pensare a certi commenti che tutt'oggi si leggono sui forum frequentati da ingegneri, architetti, geometri, dove non manca mai il testadura di turno a rivendicare il mitico ruolo dell'edilizia (e dell'indotto, of course) nella crescita economica del Paese.
Trattasi di fanfaluche, ma di queste si occuperà il prossimo post, dedicato peraltro alla fiscalità immobiliare.
Oggi preme più evidenziare che la necessità di ridurre al minimo possibile il consumo di suoli liberi é finalmente uscita dal dibattito accademico per entrare a pieno titolo nella disciplina urbanistica (vedasi, per la Lombardia, la L.R. n. 31/2014), e negli articoli della stampa non specializzata.
Recentissimo questo bel report pubblicato da l'Espresso, di agevole (e rattristante) lettura. Meglio tardi che mai, vien da dire, atteso che i cancelli dello spreco di suolo vengono chiusi a buoi abbondantemente fuggiti.
Quanto suonano stonate e antiche, di fronte agli scempi descritti, le trombe che squillano su giornali come Il Sole 24 Ore, ogni qualvolta un indicatore segnala la "ripresa delle costruzioni".
Certo, poi uno si ricorda che a presiedere Confindustria c'é un tal Squinzi, e allora fa due più due.
Proviamo comunque a restare ottimisti, considerato che aumentano coloro che sanno vedere un mondo dove il mattone non sia il protagonista assoluto della vita economica di un paese.
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