martedì 12 maggio 2009

Vox clamantis in deserto

[...] La strada del cemento è stata la scorciatoia più facile per una politica che non solo ha smesso di pensare, ma non vuole nemmeno che lo facciano altri. Specie se si tratta di intellettuali che tenacemente ci provano. Cosa sia successo è semplice da spiegare. [...] si è risposto alla crisi economica e dell’occupazione, figlie anche di una lenta ma inesorabile deindustrializzazione, con massicci piani di sviluppo urbanistico ed edilizio. Tutto qui. Con evidenti vantaggi: i cantieri portano occupazione immediata. E questo sia nelle fasce più basse della popolazione (immigrati compresi), sia nell’esercito di fornitori, costruttori e piccole imprese dell’indotto; i soldi che girano sono tanti e l’economia cresce; la politica, poi, ci guadagna due volte: prima governando il flusso delle risorse e delle licenze edilizie, poi incassando i tributi locali.
Perché [si deve] spezzare il cerchio? Perché ci sono anche gli svantaggi: l’edilizia è come una fiammata che scalda molto, ma dura poco e che produce nel tempo costi crescenti, quelli che discendono dal maggiore inquinamento e dal consumo di risorse pubbliche (acqua, energia, territorio). In più, alla lunga produce non reddito, ma rendita. Che di fatto la collettività è chiamata ad alimentare pagandone costi e servizi. In [...], poi, c’è un’aggravante: in una zona a forte vocazione turistica, questo tipo di politica economica produce reddito (rendita) solo per pochi mesi l’anno; in più, tutto avviene all’ombra di un paradosso: la continua distruzione proprio di quel capitale che ne ha fatto per anni un’oasi ambìta dal turismo culturale e vacanziero. È come fare un falò dei soldi che ci ha lasciato il nonno. Finora di queste cose si è discusso, diciamo così, all’italiana. Cioè dividendosi, attaccandosi, disprezzandosi: scapoli contro ammogliati, favorevoli e contrari, partito dei geometri e partito dei vip. Senza cominciare invece a interrogarsi se non esista un modo diverso di affrontare la questione, e se non si debba finalmente cominciare a pensare a forme alternative di sviluppo, di crescita, se non altro più eque e più durature. Per capire che è il momento, non c’è bisogno di chiamarsi Barack Obama.
Autore: Bruno Manfellotto
Luogo: Toscana
Differenze con la situazione lombarda: zero.

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