mercoledì 21 dicembre 2011

Housing sociale? Uhm, magari no

Ricevo e pubblico una mail ricevuta alcuni giorni fa.

"Spett. ing. Landoni,
sono [...], architetto presso l'ALER di Milano, le scrivo in relazione al tema trattato nel blog SalviamoPiazzatorre, che seguo da tempo in quanto frequentatore della località. Più specificamente, il mio interesse va alla discussa operazione di realizzazione di alloggi residenziali presso l'area chiamata Bosco della Tagliata, che Lei avversa adducendo ragioni di tipo ambientale-paesaggistico.
Premetto che comprendo le tesi esposte nel blog dai suoi redattori, tuttavia, ritengo utile proporre un approccio diverso e aprire un confronto su un'ipotesi che, magari per deformazione professionale, potrebbe risultare di interesse generale.
Che la trasformazione dell'area in esame possa effettivamente presentare criticità di ordine ambientale è più di un'ipotesi, ma credo occorra considerare che la tutela ambientale può non essere un valore assoluto ove si promuovano interventi che, pur invasivi, siano rivolti a soddisfare esigenze non meramente speculative o ludiche.
In tal senso, a mio personale avviso, il sacrificio dell'area verde sarebbe ammissibile qualora l'esecuzione delle nuove residenze si legasse a un intervento di prevalente gestione pubblica e volto ad arricchire il patrimonio di "social housing" ovvero edilizia residenziale sociale.
Ritengo, infatti, che la proprietà pubblica dell'area ben si presti a tale tipo di intervento, nell'ambito del quale potrebbero, in virtù dell'assoluta assenza di spinte speculative, essere adottate misure di maggiore salvaguardia del bosco, limitandone la trasformazione, assicurando al contempo la realizzazione di alloggi non più di seconda abitazione, bensì di abitazione primaria assegnata nel rispetto delle graduatorie aperte, che riguardano sia soggetti appartenenti a categorie che non possono accedere al mercato a prezzo calmierato, sia soggetti con maggiore capacità di spesa. L'effetto sarebbe, in definitiva, di assicurare quel fattore di coesione sociale che solo, come giustamente avete in più occasioni richiamato, l'aumento di residenti stabili è in grado di consolidare.
Proporrei pertanto un'azione proattiva nei confronti dell'Amministrazione Comunale di Piazzatorre, per porre in discussione l'ipotesi da me illustrata.
Nell'attesa di un Suo cortese riscontro alla presente, porgo cordiali saluti".

Ho atteso qualche giorno, prima di pubblicare questa lettera, perché, confesso, l'avevo presa per uno scherzo. A seguito di un iniziale controllo presso l'ALER di Milano e di un successivo confronto telefonico con l'autore della stessa, ho potuto verificare che scherzo non era, quindi ben volentieri la porto a conoscenza dei lettori.

Ciò premesso, accertato anche che l'iniziativa dell'architetto è personale e non risponde ad alcuna analoga posizione dell'Azienda, di comune accordo con l'autore ho deciso di non pubblicare le sue generalità, al fine di non creare difficoltà e imbarazzi ad alcuno.

Nel merito, la mia opinione è piuttosto critica: posto che non ritengo sia la natura dell'intervento edilizio a ridurre l'impatto ambientale dello stesso, mi sembra alquanto poco probabile che l'ALER di Bergamo sia disposta a gettarsi in una simile operazione, non fosse altro perché i costi di cantieramento iniziali sforerebbero tutti i loro standard, ma soprattutto perché credo che prima di realizzare alloggi a carattere sociale in una località come Piazzatorre, posta in un luogo a ridotta accessibilità (nel senso che stiamo pur sempre parlando di un paese d'alta valle collegato solo da una strada provinciale e a circa venti chilometri dal primo centro di una certa rilevanza, San Pellegrino), occorrerebbe sapere con certezza chi tra i soggetti in graduatoria fosse disposto a prendere alloggio stabile lassù.

Vede architetto, il tema fondamentale resta quello del "motivo" per cui una famiglia decide di trasferirsi in una località lontana dai grandi centri urbani e sostanzialmente priva di efficaci collegamenti di mobilità. O questa famiglia ha interessi economici in loco o ha la fortuna di non dover lavorare altrove o di non dover lavorare affatto (ma allora, in quest'ultimo caso, non dovrebbe essere nelle graduatorie per indigenti, giusto?). Come si pensa di conciliare le esigenze lavorative degli ipotetici assegnatari degli alloggi?

Io vedo solo una possibilità, escludendo la deportazione forzata ovviamente, che credo riservata ad altri Paesi e altri tempi: la creazione di opportunità di lavoro stabile in Piazzatorre o nelle immediate vicinanze. Le cronache, è vero, ci hanno parlato di una famiglia che pur lavorando a Milano ha deciso di trasferirsi in alta valle, affrontando una durissima quotidiana esperienza di pendolarismo, ma appunto si tratta di UNA famiglia, statisticamente irrilevante direi.

In sintesi, o si parte da un elemento generatore di attività stabile e di indotto alla stessa collegata (la mia idea l'ho già illustrata prendendomi improperi, non sto a ripeterla), o anche la più virtuosa delle operazioni di social housing rischia di costituire solo un ingiustificabile spreco di fondi pubblici.

Io la penso così, ma ovviamente siete liberi di dire la vostra.

1 commento:

  1. Come disse Totò in famoso film,architetto:
    ..."Ma mi faccia il piacereee...mi faccia!!"

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