lunedì 23 marzo 2009

A che servono gli Ordini Professionali?

Qualcuno direbbe "a tutelare la qualità del lavoro prodotto" e dunque "a tutela dei committenti". Qualcun altro suggerirebbe che servono "a garantire assistenza ai propri iscritti in caso di controversie". Poi vi sarebbe chi non mancherebbe di citare "l'attività di aggiornamento e di formazione".
Tutte e tre le cose sono un po' vere (in teoria) e molto poco concretamente applicate (nella pratica).
Di certo gli Ordini, come molte associazioni, servono certamente a loro stessi, quali macchine per gestire un potere, per quanto anacronistico esso sia, costruire l'immagine dei loro Presidenti e Segretari, consolidare il ruolo di questi nei confronti dei colleghi.

Cattiveria la mia? No, affatto, semplice descrizione della situazione più ricorrente.
A proposito, lo sapevate che le "auto blu" esistono anche presso certi Ordini (più al centro-sud che al nord)? Quando si dice "la casta"!
Comunque, mesi fa scrissi alla redazione di AL, la rivista degli architetti lombardi, o meglio della Consulta degli Ordini della Lombardia, questa lettera:
"Spett. redazione di AL, vi scrivo non come membro di uno degli Ordini provinciali degli architetti, ma come persona che, vedendo le profonde trasformazioni che il vostro lavoro porta sul territorio, talvolta, sempre più spesso in verità, si chiede se la disciplina dell'Architettura e dell'Urbanistica, e gli ordini professionali, abbiano ancora un ruolo nel "governare" l'attività, davvero multiforme, di architetti ed urbanisti.Non mi sono ancora presentata, lo faccio ora. Mi chiamo Mara Colombo, sono una commercialista, vivo a Legnano (MI). Sono, per formazione ed attività, quanto di più lontano dalla vostra professione, che ammiro e rispetto, ma sulla quale comincio a pormi domande alle quali spero possiate rispondermi. Il mio interesse verso le "cose da architetti" non è nato da molto, compie un anno proprio in questi giorni, e deriva dall'essermi attivata in prima persona contro un progetto urbanistico promosso in un piccolo comune della Valle Brembana, Piazzatorre, in provincia di Bergamo, paesino di meno di 500 abitanti, un tempo florido centro turistico, oggi in costante e forse irreversibile declino. Personalmente attribuisco una grandissima parte del rovescio turistico di questo paese all'abnorme sviluppo edilizio degli anni '70 e '80 del secolo scorso, allorché furono edificate seconde case sufficienti ad ospitare circa 8.000 persone, depauperando la maggiore risorsa in termini di attrattività,ovvero sia il territorio stesso, a fronte di nessun potenziamento dei servizi da fornire ai residenti ad ai possibili villeggianti. Adesso, per risollevare le sorti e l'economia del paese, si vorrebbe dare il via ad un programma integrato di intervento, per il quale sarebbero realizzati ulteriori alloggi per ulteriori 455 abitanti, al prezzo, evidentemente ritenuto ininfluente, di radere completamente al suolo l'ultimo bosco "urbano" rimasto.Poche persone, tra le quali la sottoscritta sembrano avere colto pienamente i termini dell'operazione, ma questo conta poco. Ciò che mi preme evidenziarvi è l'assoluta inazione di tutti gli enti che dovrebbero essere preposti a governare il territorio, Comune in primis, ma Provincia, Parco delle Orobie e Comunità Montana a seguire. La Regione manco la cito perché ormai ho capito persino io che ha completamente abdicato al proprio ruolo. Però, mi chiedo e vi chiedo, accanto alla latitanza delle istituzioni, o alla loro follia (se penso a un comunello che gioca a "negoziare" programmi urbanistici promossi da gente che fa solo quello di mestiere, tutti i santi giorni, e da anni), ma architetti ed urbanisti hanno o no un ruolo da giocare per evitare scempi come quello che vi ho descritto?Quando leggo, sulla vostra rivista come su altre, termini come qualità del territorio, tutela del paesaggio, armonia con l'ambiente, a cosa esattamente vi riferite? Perché se poi leggo un "documento di sintesi" (vedi allegato) come quello predisposto per evitare la VAS del programma cui vi accennavo, documento redatto da un architetto (e sia chiaro che non intendo muovere una critica alla persona, che neppure conosco, a alla quale sarà stato conferito un incarico ben preciso e disciplinato da un contratto) e nel quale il succo è "tutto va bene madama la marchesa", comincio davvero a pensare che si faccia, a livello culturale, della gran teoria e del gran fumo, ma che poi, quando si scende sul pratico, l'arrosto sia sempre quello: più metri cubi = più quattrini = parcelle più alte, e quindi tanti saluti al territorio e agli articoli stampati sulle riviste. Non vorrei esservi parsa offensiva, nel caso me ne scuso. Se ne avete voglia, per favore, datemi una risposta, personale o sulla vostra rivista, che ormai mi faccio prestare tutti i mesi. Cordiali saluti".

Beh, potete facilmente immaginare com'è andata a finire: un paio di contatti per avere il file (regolarmente recapitato), e poi più nulla, silenzio assoluto. La risposta la sto ancora aspettando.
Certo, magari mi sono persa un numero di AL, ma temo non sia così.
Un silenzio imbarazzato, dietro il quale si cela non la deontologia professionale, alla quale tutti ci inchiniamo, ma la volontà di non farsi nemici, di non mettersi in gioco, di attenersi al sempiterno "lupo non mangia lupo", oggi un incarico a te, domani uno a me.
Disciplina, deontologia, la critica ragionata come elemento che integra il lavoro delle professioni intellettuali, paiono espressioni arcaiche, coniate in una lingua che non ci appartiene più.

Me li vedo anche adesso, molti stimati progettisti, a mentire spudoratamente sul "piano casa" del Governo, denunciandone le distorsioni sui comunicati ufficiali, per poi correre in ufficio a capire quanto potranno fatturare nei prossimi due anni.

Almeno i vituperati geometri sono più ruspanti, non si vergognano di dire che lavorano pensando a cazzuole e fratazzi.

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