giovedì 28 agosto 2008

Innevamento artificiale: luci e ombre

Si sente spesso dire che l'innevamento artificiale può supplire senza problemi, senza "alcun" genere di problema, alla mancanza di neve naturale.
Non è proprio così. Una relazione piuttosto ricca di informazioni non note neppure a gran parte del pubblico di appassionati dello sci, la trovate tra le pubblicazioni della CIPRA, scaricabile in formato PDF.
Una lettura dedicata a quelli che i cannoni sparaneve se li metterebbero anche in giardino.

mercoledì 27 agosto 2008

Uno sguardo ai vicini 3

Recentissima, questa denuncia dei danni conseguenti a politiche ed azioni assai poco lungimiranti.
Sottoscriviamo tutto. Prendete i nomi delle località, sostituiteli con quelli di altre a vostro piacere, in Lombardia (ma anche in Piemonte, per quanto ci è dato sapere, vero amici di Macugnaga?) e decidete voi se le analogie ci sono o no. Secondo noi ci sono, eccome.

Paghiamo il conto di scelte sbagliate

da "L’Adige" di Trento, del 29 luglio 2008
di Elena Baiguera Beltrami

Montagna in crisi, montagna che si svende, colpa del tempo? Del prezzo del petrolio? Della congiuntura economica? L'allarme degli operatori della val di Fassa in questi giorni ha gettato un sasso in piccionaia, ma gli addetti ai lavori della Val di Fassa, come della Val di Fiemme, della Rendena o del Garda sanno bene che non si tratta di un fenomeno contingente. Chi ha vissuto e lavorato nelle località turistiche d'eccellenza del Trentino sa bene che la politica del gioco al ribasso sui prezzi dei pernottamenti non è storia recente, oggi il fenomeno è semplicemente esploso in tutta la sua gravità, ma il problema si trascina da anni. E allora guardiamolo in faccia una volta per tutte. La situazione di sofferenza della montagna estiva ha radici lontane e implicazioni diverse che coinvolgono scelte di politica turistica fatte in passato di cui oggi si paga lo scotto. Per capire occorre fare qualche passo indietro nel tempo e considerare il comparto turistico alpino nella sua globalità, senza prescindere dalla stagione invernale. Dopo il boom economico degli anni '60 che in montagna portò una proliferazione abnorme di seconde case, a spingere al massimo l'acceleratore sul successo dello sci come sport di tendenza contribuirono per tutto il corso degli anni '70 le grandi performance della valanga azzurra in Coppa del Mondo: Gustav Thoeni, Paolo De Chiesa, Pierino Gross, erano gli eroi sportivi dei rampolli dell'alta borghesia padana. Era una febbre diffusa che invase le alpi come una malattia esantematica, inizialmente con una frequentazione elitaria, e via via estendendosi ad ogni ceto sociale, fino a divenire a metà alla fine degli anno '80 un fenomeno di massa. A segnare questo passaggio negli anni '80 ed a tenere alto l'appeal nei confronti della montagna e dello sci fu un altro grandissimo atleta, Alberto Tomba, l'astro nascente che dominerà la scena agonistica per oltre dieci anni. Tomba, con il suo accento bolognese era il bambino prodigio cresciuto a fiorentine e pali da slalom, il teorema vivente che la montagna non era più esclusivo appannaggio dei montanari, ma poteva , anzi doveva essere «posseduta» e vinta anche dai «cittadini». Fu l'apoteosi, la parabola di un mito sportivo ed il crollo dello stereotipo della montagna inviolata ed inviolabile. Orde di ragazzini, di famiglie con bambini di attempati signori e signore con velleità sportive si attrezzavano di tutto punto per fare la propria comparsa nelle località blasonate e magari scivolare tra i pali di qualche competizione di club. Era una questione di «status», l'importante era esserci, d'inverno ma anche d'estate perché la stagione invernale faceva da traino a quella estiva. E c'erano tutti, a turno da Roma in su e negli anni '90 anche da Roma in giù. I vecchi skilift e le seggiovie non erano più sufficienti a turnare l'enorme flusso dei vacanzieri che ogni anno si riversava sulle piste, dove si formavano code interminabili a tutto discapito dei guadagni delle società impiantistiche. Sulla scorta di questa invasione, che ogni anno segnava trend di crescita strabilianti, occorreva riorganizzare tutto il comparto con impianti più veloci e confortevoli ed una portata oraria 3 o 4 volte superiore. Ben presto ci si accorse anche che il fenomeno delle seconde case aveva portato uno squilibrio nel tessuto economico- sociale dei centri sciistici più rinomati. Era un'invasione ingestibile, che creava un indotto parziale ed un rapporto squilibrato tra il carico antropico dovuto al traffico automobilistico e le ricadute economiche, gli stili di vita erano cambiati ed anche il modo di concepire la vacanza. Negli anni sessanta e settanta le famiglie «bene» italiane potevano permettersi un mese di vacanza al mare e tutto il mese di agosto nella casa di montagna, negli anni novanta la tendenza si era definitivamente orientata sulla settimana. Settimana bianca, o verde, ma sempre e soltanto la settimana iniziò ad essere lo strumento con il quale misurare il termometro del turismo, in ottemperanza ai dettami dei mercati internazionali che imponevano una commercializzazione standardizzata. Così, nell'arco di dieci anni tra la metà degli anni ottanta e fino al 1996-97, in Trentino si diede la stura ad investimenti consistenti nel campo impiantistico ed a progetti di riqualificazione del comparto ricettivo. I posti letto nei residence e nelle seconde case dovevano essere riequilibrati da posti letto in hotel, era imperativo rafforzare l'imprenditoria locale, creare occupazione e lavoro per tutto l'indotto valligiano che orbitava attorno ai centri sciistici. Questo fu un momento cruciale per le scelte di politica turistica che oggi regolano il settore. Grandi comparti impiantistici dovevano coniugarsi con grandi strutture alberghiere, una quantità enorme di rifugi in quota, raggiungibili anche di notte con i gatti delle nevi, mega parcheggi, reti stradali, gallerie. Insomma un apparato imponente, sovvenzionato copiosamente dal pubblico, più grande e qualificante era l'intervento di ristrutturazione alberghiera più veniva sovvenzionato e più lo strumento urbanistico della «deroga» ai piani regolatori urbanistici solleticava gli albergatori ad ingrandire fino a due tre volte la volumetria originaria. Il comparto «tirava» ed i Comuni e gli usi civici soprattutto in alta Rendena, non volendo essere esclusi dal banchetto, mettevano mano alle malghe trasformandole in ristoranti, bar e discoteche da mettere all'asta a cifre da capogiro. Intanto qualcuno metteva in guardia contro la monocultura dello sci, che avrebbe creato ingenti danni all'ambiente e snaturato il paesaggio alpino mettendo serie ipoteche anche sulla stagione estiva, disincentivando gli amanti della montagna nell'accezione più autentica del temine. Ma ormai si era imboccata una strada senza ritorno. Ora basta guardare le nostre località turistiche alpine per rendersi conto di quanto poco di autentico e di suggestivo hanno conservato, come basta guardare uno di questi mastodonti, a 3 o 4 stelle per avere un brivido e chiedersi come faranno a quadrare il bilancio, per non parlare delle piccole strutture che non possiedono più un'offerta. Certamente oggi la situazione economica del nostro paese è drammatica e questo ha il suo peso, ma perché in Alto Adige, per citare una realtà molto vicina la Trentino, non vi sono evidenti segnali di crisi ed esiste la destagionalizzazione più alta di tutto l'arco alpino? Forse perché sono molto più i «bed&breakfast» con accanto la stalla o l'azienda agricola che i quattro stelle? Forse perché accanto ad uno sviluppo sostenibile si è mantenuta l'identità originaria dei luoghi? Forse perché si è puntato sulla qualità piuttosto che sulla quantità? Forse. Una cosa è certa, se di «autonomia» si deve parlare, il gap tra le due realtà non sfugge più nemmeno al più distratto dei viandanti. Ora le ricette non sono semplici, l'industria della vacanza è in sofferenza, come tutta l'industria italiana, ci vorrebbe un nuovo boom economico, per quanto improbabile, o una nuova valanga azzurra, o un novello Tomba e su questo forse qualcosa si potrebbe tentare e magari qualcosa si potrebbe pure investire.

Uno sguardo ai vicini 2

Un altro intervento del prof. Daidola, a pochi giorni di distanza da quello del 1° marzo 2005. Qui si spezza una lancia in favore delle piccole stazioni sciistiche, ma ad alcune condizioni.

Da “L’Adige” di Trento del 7 marzo 2005
Lo sci non si cura con i "passaggi"
di Giorgio Daidola

Leggo sull’Adige del 2 marzo: "Pedrotti [Alberto Pedrotti, all'epoca, e tuttora, Presidente della Sezione Impianti a fune di Confindustria - Trento] a Daidola: lo sci non è in crisi". Il motivo sarebbe che "il numero di passaggi è costante". Risposta: il numero di passaggi è costante solo in particolari comprensori come il Dolomiti Superski, dove con agguerrite e costose operazioni di marketing si è riusciti a sostituire i clienti italiani e tedeschi con quelli dei Paesi dell’Est. Quando si parla di crisi dello sci si parla di una tendenza generale e non locale. Di una tendenza di lungo termine e non di tentativi di tappar buchi nel breve termine. Inoltre, la crisi dello sci deve essere valutata con parametri diversi dal "numero di passaggi" e cioè in termini di variazioni valore aggiunto (ricchezza prodotta) e di redditività (effettiva, al netto dei contributi) dalle aziende di trasporto a fune.
Leggo poi che "la diminuzione si avverte di più nelle stazioni minori": vero, purtroppo in tutto il mondo è in corso una concentrazione degli impianti in megastazioni. Ma ciò è oltremodo negativo per il futuro dello sci. Ciò avviene perché le piccole stazioni scimmiottano le grandi, cercando di svilupparsi seguendo i demenziali modelli di queste ultime. Le piccole stazioni invece, proprio perché solo piccole, sono quelle che avrebbero tutte le possibilità di trasformarsi in laboratori del turismo invernale (e non solo invernale) del futuro. Occorrerebbe solo inculcare in esse una buona iniezione di creatività, di conoscenza della storia e della cultura dello sci, di consapevolezza dei valori che ancora custodiscono. Paradossalmente le piccole stazioni sono in vantaggio rispetto ai grandi comprensori nel lungo termine, essendo questi ultimi destinati a costosissime riconversioni o ad un veloce degrado. E le piccole e medie stazioni così gestite non soffriranno, come dice il dott. Pedrotti, se i contributi pubblici verranno ridotti, come vuole giustamente l'Unione Europea. In particolare non ci sarà bisogno di affermare che "gli enti pubblici dovranno diventare azionisti". A parte che si tratterebbe della solita vergognosa tendenza italiana ad aggirare le leggi, significherebbe andar contro ai processi di "privatizzazione" ovunque in atto nell'economia.
La strategia riportata dal dott. Pedrotti per far fronte alla crisi (non ammessa) delle grandi stazioni è quella ben nota di diminuire il numero degli impianti ed aumentarne la portata. Mi si consenta di dire che si tratta di una strategia miope, tratta senza i necessari adattamenti dai manuali sulla gestione della produzione nella grande industria. Essa è infatti responsabile dell'affollamento insostenibile delle piste, causa prima dell'aumento degli incidenti e dell'obbligo di sciare con il casco. Ciò anche in conseguenza della portata degli impianti moderni, che annulla le code e i momenti di riposo in seggiovia durante la risalita. E l'affollamento delle piste rende necessario l'innevamento artificiale, l'unica che "tiene" al passaggio di migliaia di sciatori e così il cerchio si chiude sulle "responsabilità" prime dell'invenzione della neve finta.
Riguardo alle sciovie, ossia agli impianti più leggeri e flessibili, Pedrotti dice che non sono state eliminati ma sono passati (in Trentino) da 186 a 80 dal 1985 ad oggi. Ammette che in Francia ed in Austria non si è seguita la stessa strategia. Dice che è la clientela delle nostre stazioni a non volere più gli skilift. Ammesso che sia vero (la clientela dello sci è sempre più internazionale, quanti trentini vanno a sciare in Austria ed in Francia, semplicemente perché ci si diverte di più, non sto qui a spiegare il perché) non si capisce di questa "peculiarità" del cliente tipo delle nostre stazioni. La verità è che si raccoglie quello che si semina, attraverso un utilizzo sbagliato ed immorale del marketing, che da funzione essenziale di analisi della domanda è stato trasformato in un modo per influenzare (profondamente) la domanda stessa. Gli sciatori di massa sono così diventati come dei bambini viziati, e la colpa è appunto delle aggressive strategie di marketing adottate. Strategie che hanno portato a sciatori in grado di sciare solo su piste lisce come biliardi e con sci che girano da soli, annullando il piacere di impostare una curva. Sciatori il cui desiderio di sciare viene sollecitato in autunno quando la neve (vera) da sempre è un eccezione, con la conseguenza che quando è primavera ed inizia la stagione più bella dello sci più nessuno ha voglia, capacità (e già, la neve è quella vera!) e quattrini (spesi tutti nelle poche costose domeniche invernali dedicate allo sci) di/per sciare.
La chicca finale a questo devastante modo di agire degli "uomini di marketing" del turismo invernale sono le accurate indagini di "customer satisfaction" che dovrebbero "provare" la soddisfazione dello sciatore: si tratta niente altro che di modi per valutare l'efficacia delle politiche di marketing immorali di cui dicevo sopra. Evidentemente il dott. Pedrotti pensa che sia giusto fare così e c'è poco da fare, nel breve termine, per far cambiare simili modi di pensare, purtroppo dominanti. Politici ed impiantisti si fanno forti del sostegno della popolazione delle grandi stazioni di sci, arricchita troppo velocemente grazie allo "oro bianco" (che non è più il latte di montagna ed i suoi derivati ma appunto l'industria dello sci). Verissimo che grazie agli impianti in deficit si sostiene questa ricca economia basata sul turismo della zona. Ma a quale prezzo? Con quali conseguenze devastanti sull'ambiente e sulla identità della cultura dei locali che hanno sempre di più gusti e sensibilità (acquisiti troppo velocemente, con i risultati che si vedono) da abitanti della pianura? Con quale strategia a lungo termine, con quella dello sviluppo economico senza se e senza ma? Se si dimostrasse che la costruzione di una industria chimica altamente inquinante in Val di Fassa darebbe più occupazione e più valore aggiunto del turismo forse si opterebbe per la sua costruzione?
La verità è che ci sono altri modi per arrivare ad un benessere più equilibrato delle popolazioni locali che evidentemente il dott. Pedrotti e tutti quelli che la pensano come lui non conoscono o sottovalutano. Prova ne è che afferma: "la settimana bianca in malga piacerà al professor Daidola ma la gente apprezza i caroselli". Vada a vedere di persona il dott. Pedrotti qual è l'affluenza nelle malghe e nei rifugi con servizio di albergo (non servite da impianti e strade) dell'Alto Adige, dell'Austria, del Queyras francese, della British Columbia canadese e forse cambierà idea. Ho detto "di persona" perché così avrà modo di vedere ospiti che esprimono genuina felicità e non solo sciatori ingrugniti che non ti rivolgono neppure la parola quando sei su di una seggiovia pluriposto. Mi permetto di suggerirgli per queste bellissime giornate di marzo un weekend o una settimana bianca al rifugio-albergo Lavarella o al rifugio albergo Fanes nel Parco naturale di Fanes-Senes-Braies in Alto Adige. Forse così avremo modo di conoscerci, di discutere e di picchiarci (in un duello sulla neve vera) di santa ragione. Con un consiglio però: prenoti subito perché in queste oasi di vero turismo della neve (per tutti, non solo per gli scialpinisti) non ci vado solo io come pensa lui: esse sono sempre complete da Natale a Pasqua.

Uno sguardo ai vicini 1

Che la montagna non goda di buonissima salute lo si sa da parecchio, che il turismo sulle Alpi soffra una crisi economica e d'identità pure. Il problema è diffuso, la consapevolezza che le cause non vanno cercate in complotti e congiure orditi da chissà chi e chissà dove, deve ancora farsi strada.
Qualcuno, da anni, va spiegando cosa non funziona, o non funziona più come un tempo, e si sforza anche di proporre soluzioni. Inascoltato.
Vi proponiamo un vecchio articolo del quotidiano "L'Adige", di Trento, altri ne seguiranno.
Il Trentino è un esempio, se possibile ancora più deprimente della Lombardia, di come sforzandosi adeguatamente si riesca ad ammazzare anche la più coriacea delle galline dalle uova d'oro. Buona lettura.

Da "L'Adige" di Trento del 1° marzo 2005
Intervista al prof. Giorgio Daidola, professore universitario, grande conoscitore della montagna
Di Fabrizio Torchio

Pinzolo-Campiglio, lo sviluppo del Brocon, il grande carosello di Folgaria-Lastebasse e il collegamento San Martino-passo Rolle, nel parco delle Pale. Ancora piloni, seggiovie, piste e cannoni da neve da realizzare in fretta, perché ogni anno la lancetta dei contributi pubblici segna cinque punti in meno. Il 17,5% a chi fa domanda quest'anno per il 2006, il 12,5 l'anno prossimo. Ecco l´urgenza di progettare, di staccare licenze.
«Ma è un modello che fa male alla montagna e allo sci», obietta Giorgio Daidola, docente universitario di economia e gestione delle imprese turistiche a Trento. «Investono il denaro di tutti in un settore maturo, in crisi e senza futuro». Negli USA - rammenta - in 20 anni le stazioni di sci sono scese da oltre 800 a 490. Se il fatturato delle stazioni alpine non cresce, i costi gestionali salgono alimentando la corsa al contributo pubblico. «Continuare a investire in modo massiccio nel settore dello sci di massa - avverte il professore - è oltremodo rischioso»
Ma Daidola, torinese con maso in Val dei Mocheni (abita a Frassilongo e sul prato di casa scia con una vecchia manovia) non è solo un economista. Del pianeta bianco è protagonista: maestro di sci dal '71, presidente dell'Associazione telemark international, a «talloni liberi» ha sceso per primo un ottomila in Tibet, lo Shisha Pangma. Ha disegnato serpentine sui vulcani del Sudamerica e attraversato grandi ghiacciai in Canada e Antartide. Il suo invito a non usare gli impianti in Val Jumela, risalendola con le pelli di foca, gli ha allontanato più di un amico e la distanza della politica provinciale.
Lo sci sta diventando monotono e noioso, dicono a «The White Planet» chiedendo meno piste battute e meno pressione sulla natura. «Sono d'accordo, meglio gli impianti leggeri che danno minori impatti sull'ambiente, richiedono minori investimenti, consentono più veloce recupero del capitale e sono più flessibili: gli imprenditori non sono costretti a tenerli aperti».
Lo sci è in crisi? «I dati dicono che dal 1997 al 2004 il numero di sciatori è sceso del 24%. Prudenzialmente - sono aumentati gli snowboarder - valutiamo un calo del 10% contro l´aumento del 35% dell´escursionismo estivo. Le vendite di sci sono diminuite del 30% dal '93 al '98, da 6,2 a 4,3 milioni di paia. Dagli anni ´70 ad oggi si è scesi da 390 a 110 centimetri di neve caduta: il 60%; a 1.200 metri abbiamo 124 giorni di neve al suolo con una riduzione del 20% della superficie nevosa. La neve artificiale, inizialmente usata per piccole zone, ha innescato una spirale: per pagare gli investimenti necessari a produrla bisogna aumentare i passaggi, quindi le portate orarie degli impianti. L'industria dello sci, da flessibile, è diventata rigida».
E i costi? «Mantenere 70 milioni di passaggi all'anno richiede grandi spese di promozione per attirare mercati distanti, che spesso poi pagano poco. Il costo della neve artificiale è stimato in 136 mila euro ad ettaro, compresi gli ammortamenti degli impianti e il costo d'esercizio. E il 60% delle stazioni sulle Alpi è in deficit».
È anche cambiato lo sci. «La neve artificiale è fatta di palline di ghiaccio che pesano quattro volte di più e richiedono continue lavorazioni per non diventare una superficie durissima. I francesi correttamente la chiamano neige de culture, neve di coltura, e ha fatto nascere attrezzi e tecnica diversi: lo sci corto e molto sciancrato per mordere. Pensi che all´ultimo corso di aggiornamento per maestri, Colturi si scusava con noi. Aveva nevicato e non poteva mostrarci la deformazione degli attrezzi. Lo sci industriale ha tolto libertà d'espressione e portato maggiori velocità, più incidenti e l'ossessione per la sicurezza. Servono più piste-autostrade per smaltire il traffico».
Le alternative? «Stazioni sciistiche più leggere con sciovie, manovie, slittoni. Malghe e agriturismi che sono stati ristrutturati con milioni di euro, anziché restare chiusi potrebbero funzionare anche d´inverno. C'è un nuovo oro delle Alpi là sotto: una manovia sul prato sotto la malga è meglio dei Luna Park di plastica delle stazioni di sci. Per i bambini, ad esempio, sui quali dobbiamo investire. Una settimana bianca in una malga, quella sì segnerebbe uno stacco dalla città. E basterebbero investimenti irrilevanti. Il modello alternativo, se lo si vuole, esiste e può reggere. Non dà facili arricchimenti, ma permette alla gente di restare in montagna. Sa cosa sta succedendo in Francia? La Compagnie des Alpes, che investe in impianti solo sopra i 1.800 metri e con ottica espansionistica, vede gli utili in calo. E cosa fa? Investe in pianura, nei grandi Luna Park. Lo sci viene considerato un prodotto maturo da tutti gli analisti, che parlano di riposizionamento: après ski, dalle cene al rifugio alle discese con la slitta».

Aufrüstung im alpinen Wintersport

Tranquilli, il blog non parlerà tedesco, sappiamo bene che la lingua di Goethe suscita all'istante giustificatissimi timori in noi lombard (si pronuncia "lumbard", con la u, mi raccomando).
Ma il titolo in lingua originale ci serve per evidenziare come "Rinnovare gli sport alpini invernali", (questa la traduzione, magari non precisissima) sia un tema affrontato approfonditamente oltralpe.
La relazione completa, solo in lingua originale, la potete scaricare da questa pagina nel sito della CIPRA - Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi, qui vi riportiamo uno stralcio, tradotto in italiano.
Questo post, che nella sua estrema sinteticità tocca vari argomenti legati al rapporto sport-turismo-territorio, è il primo di una serie che seguirà a breve, dedicati agli sport invernali, in particolare allo sci alpino, e che dovrebbero interessare soprattutto i teorici de "lo sci e gli impianti di risalita servono a rilanciare il turismo in montagna". Bene, per ora non commentiamo, vi lasciamo a questa ed alle successive letture.


Rinnovare gli sport alpini invernali

La crisi degli sport invernali è diffusa. Dopo lunghi anni di forte crescita, in molte località la frequentazione, a livello di turismo di massa, è scesa a partire dalla metà degli anni'80.
La vera e propria fase di euforia nei confronti dello sci alpino è stata sperimentata negli anni ‘70: funivie e impianti di risalita, nonché aree attrezzate per sport invernali costituirono all’epoca la spina dorsale di una società del benessere nella quale molti potevano permettersi vacanze invernali.
In molte regioni alpine è stato in quello stesso periodo che si è perpretato il “sacco” dei terreni sui quali costruire le seconde case, deturpando paesaggi tradizionali e talvolta distruggendo borghi storici.
La crisi del turismo alpino iniziata tra la fine degli anni'80 e la metà degli anni'90 ha interessato, in particolare, Svizzera, Austria e Germania.
L’Italia ha rappresentato un eccezione al trend degli altri Paesi alpini, almeno fino alla stagione 1998/1999, grazie soprattutto a politiche di svalutazione della moneta nazionale che generavano, tra l’altro, effetti attrattivi nei confronti del turismo estero, forte di un maggior potere d’acquisto.
Oggi tuttavia si può affermare che nel medio - lungo termine il turismo invernale sulle Alpi non potrà trovare nuovo slancio, causa una serie di fattori, ambientali, climatici, economici, demografici.
Il fattore demografico è il più interessante da analizzare a livello macroeconomico: la percentuale di persone anziane, a causa dei bassi tassi di natalità in Europa, è in aumento, e nonostante l'immigrazione da Paesi extraeuropei, gli anziani rappresenteranno per consistenza il gruppo più importante a livello target per il turismo montano, ma non certamente nella sua componente “sport invernali”.
Ciò perché i turisti più anziani assegnano un alto valore alle opportunità ricreative rappresentate da paesaggi di elevata qualità e per molti di loro gli sport inverali non hanno posseggono alcun appeal, spesso anche in relazione alla capacità economica personale.
Il fattore climatico è altrettanto determinante: tra gli effetti del fenomeno noto come “riscaldamento globale” del pianeta, vi è quello di avere drasticamente ridotto la quantità di neve che cade sulle Alpi e la durata dell’innevamento naturale.
In Svizzera, per esempio, il limite delle nevi si è innalzato dai 1200 m ai 1500 m s.l.m. e le stazioni innevate durante la stagione invernale sono l’85% del totale; in prospettiva, nel 2050, saranno solo il 63%. Contemporaneamente decresce il numero di giornate idonee per sciare. Ciò è comune all’intero versante Sud delle Alpi, dove si riscontra la non redditività delle attività sciistiche, perfino in stazioni come "Les Portes du Soleil" a Wallis / Alta Savoia, Kitzbühel in Tirolo o Kranjska Gora in Slovenia.
Il ricorso all’innevamento artificiale non potrà, da solo, restituire competitività agli impianti che, in ogni caso, dovrebbero essere collocati a quote più elevate di quelle attuali, con costi finanziariamente difficilmente sostenibili se non a fronte di sostanziosi contributi pubblici a carico, quindi, dei contribuenti. Assai difficilmente potrebbero reperirsi aiuti da soggetti privati, banche in primo luogo, che da anni declinano le richieste di finanziamenti nei confronti di attività legate agli sport invernali, ritenute sempre più rischiose e sempre meno redditizie.

lunedì 25 agosto 2008

Simulassiun

Un tentativo da neofiti di Photoshop, per rendere l'idea di cosa è Piazzatorre (loc. Tagliata) oggi e di cosa potrebbe (speriamo di no) diventare domani.

Today:





Tomorrow:




Ammirate la rigogliosa piantagione di palazzine ed immaginate le stupende sensazioni nell'attraversare quei lotti finalmente sottratti ad una natura selvaggia e perigliosa. Ahhhh, meraviglia, non più quelle fastidiose asperità del suolo, quelle putride foglie che cadono in autunno, quei noiosi aghi di abete che si infilano nelle vostre scarpette di Gucci, quell'orrenda resina che cola e impiastriccia la pashmina. Vorrai mica mettere, vero?




Ringraziamenti

Un caloroso saluto di benvenuto a Sara e Mauro che da oggi iniziano a collaborare con noi.
Cercheranno documenti, ci aiuteranno a scrivere i testi dei post e si cimenteranno nel ruolo di aspiranti reporter.

Prima l'uovo o la gallina? Dipende

Parafrasando l'antico detto, oggi aggiorneremmo in: "prima gli impianti o le seconde case?". E' quanto ci venne spontaneo dire allorché fu pubblicato lo "studio" sull'incremento del patrimonio edilizio di Piazzatorre.
Lo trovate qui.
Capita l'antifona? Gli impianti di risalita non stanno in piedi con le loro gambe e allora occorre puntellarli.
Fin qui ci possiamo anche stare, è sul "come" puntellarli che abbiamo qualche obiezione: seconde case o servizi? Noi siamo per i secondi.

domenica 24 agosto 2008

Qualche dato

È tempo di riportare qualche dato che aiuti a comprendere meglio i contenuti del Programma Integrato di Intervento (PII) e il suo impatto nel territorio urbano di Piazzatorre.
Per il momento non entreremo nel merito di cosa sono i PII per la normativa urbanistica lombarda, ci sarà tempo e modo per farlo successivamente. Ora ci preme di più descrivere il meteorite che potrebbe abbattersi sul paese.
Numeri e voci qui citati, per quanto non definitivi, sono ufficiali e verificabili presso il Comune, che li ha diffusi attraverso il proprio notiziario mensile “Il Comune informa” del mese di Novembre 2007.
Il PII prevede interventi sia su edifici esistenti sia su terreni liberi:
1) Ex “Colonia Genovese” – ristrutturazione ed ampliamento. Le superfici dovranno essere destinate, per il 75%, a servizi wellness, albergo, negozi, bed & breakfast o alloggi da affittare. Queste destinazioni dovranno essere realizzate entro cinque anni dalla firma della convezione tra gli operatori immobiliari ed il Comune. Il restante 25% della superficie sarà destinato ad appartamenti in libera vendita.
2) Ex “Colonia Bergamasca”: parziale demolizione, ristrutturazione ed ampliamento della parte restante. Qui saranno realizzati solo appartamenti, ad accezione di uno spazio di circa 150 metri quadrati di superficie, da cedere al Comune.
3) Costruzione su terreni liberi, di edifici residenziali per una superficie lorda di pavimento di 16.000 mq, in località Tagliata. L’ipotesi iniziale della località Piazzo è sfumata, essendo troppo forte il vincolo geologico lì presente.
A cosa corrispondono 16.000 metri quadrati di superficie lorda di pavimento, oltre a tutto il resto presso le ex colonie? Facciamo il celeberrimo conto della serva: il taglio medio degli appartamenti in seconda casa non è enorme, in genere parliamo di bilocali, un soggiorno con angolo cottura o cucinotto separato, due camere, un bagno. Tradotto in mq calpestabili vuol dire, metro più metro meno, una cinquantina di metri quadrati per alloggio, una sessantina se i costruttori saranno particolarmente “generosi”. Aggiungiamo un 20%-25% circa di muri ed arriviamo, nella versione “lusso” a circa 70-75 mq lordi. Solo con le costruzioni sui terreni liberi stiamo parlando di almeno 210 appartamenti. Vogliamo ammettere che presso le due ex colonie venga ricavato “solo” un decimo di appartamenti aggiuntivi? Bene, siamo ad un totale di almeno 240 nuovi appartamenti complessivi (facciamo notare che se questi numeri fossero verificati, staremmo già parlando di una “capacità insediativa teorica” di 600 persone, ben superiore alle 455 dichiarate nel documento di sintesi).
Quanto “valgono” sul mercato 240 appartamenti di 75 mq lordi ciascuno? Anche in questo caso la leggendaria serva ci viene in aiuto: stiamo pure un po’ “schisci” e ipotizziamo un prezzo di vendita intorno ai 1.800 €/mq per un alloggio nuovo, di discreta fattura, con box auto singolo (avete presente quelle pubblicità tipo “la tua casa in Valle Brembana a partire da 49.000 €? Ecco, teniamo presente che stanno parlando di un monolocale da 30 mq, senza box auto). Calcolatrice alla mano, arriviamo a: 240 app. x 75 mq/app. x 1.800 €/mq, ovvero 32.400.000 €, ma noi vogliamo essere ancora più buoni e diciamo che l’operazione, al lordo dei costi rappresenta una potenziale fonte di introiti per circa 30.000.000 di euro.
I costi di costruzione di questi alloggi, ipotizzando siano di medio livello (non di lusso, insomma) non dovrebbero superare i 900 €/mq (teniamo conto che edifici e terreni vengono ceduti dal Comune e dunque non sono da considerare tra i costi), la metà del prezzo di vendita, aggiungiamoci pure gli oneri tecnici e qualche altra voce di spesa, ma l’incidenza percentuale è bassina, si può arrivare a 950 €/mq complessivi, un bell’affare non c’è che dire.
Insomma, i nostri eroi dell’Alta Quota S.r.l., se tutto andasse per il verso giusto, incasserebbero al lordo delle imposte una cifra oscillante tra i dieci e i tredici milioni di euro, mica da sputarci sopra, che dite?
Alto là, non è del tutto vero, o meglio, è vero ma al profitto degli immobiliaristi dobbiamo ancora detrarre i costi da sostenere per il “ricco” piatto preteso da quell’ingordo di un Comune.
E già, perché 240 appartamenti varranno bene qualche contro-prestazione, giusto? Ed eccola servita: l’acquisto (a prezzi di saldo o di rottamazione, fate voi) degli impianti di risalita e del Rifugio Gremei, la cessione degli stessi al Comune, la gestione del comprensorio sciistico per 10 anni, la realizzazione di un impianto di innevamento artificiale per la “Torcola Vaga” e uno skiweg di collegamento tra i due comprensori sciistici esistenti, più la sostituzione della seggiovia “Zuccone” attraverso (così sembra di capire) la realizzazione di una seggiovia quadriposto in località “Costa Piana”. Ah, non dimentichiamo la realizzazione di ben (sic!) due aree verdi attrezzate per complessivi 3.000 mq (i due giardinetti per bambini, uno dei quali nel bosco della Tagliata, spariscono per far posto alle nuove case e dunque vanno sostituiti), da ricavare dove? Nelle aree pertinenziali delle costruzioni presso le ex colonie, sopra la copertura delle autorimesse!! I bambini giocheranno divertendosi a saltare tra le griglie d’aerazione dei box auto.
Allora, tiriamo le somme, tutto questo ben di Dio preteso dal Comune, vogliamo dire che costerà all’Alta Quota tre milioni di euro, facciamo quattro per stare larghi? Bene, la forbice tra ricavi minimi e costi massimi, per l’Alta Quota S.r.l. è in attivo per ben sei milioni di euro, al lordo d’imposta e, se le cose andassero al meglio, sarà di ben dieci milioni di euro.
Domanda numero uno: siamo proprio certi che il Comune sappia negoziare operazioni urbanistiche?
Domanda numero due: l'investimento complessivo del programma è stato descritto, in termini finanziari, con l'astronomica cifra di 55 milioni di euro. Dove starebbero di casa ??
Domanda numero tre: com’è che l’Alta Quota sta già, ora, venendo meno agli altri impegni assunti, che prevedevano l’apertura nei mesi estivi del 2008 degli impianti della Piazzatorre Ski, senza che nessuno apra becco?

martedì 19 agosto 2008

In che situazione si inserisce il programma integrato di intervento

Per mesi si sono rincorse voci tutt'altro che certe, rispetto ai contenuti del programma integrato ventilato all'amministrazione comunale di Piazzatorre dai rappresentanti della società Alta Quota s.r.l. (due operatori immobiliari bergamaschi), tuttavia si poteva chiaramente intuire che l'idea di base non era rivolta al potenziamento dei servizi da offrire a residenti e turisti.
E' bene si sappia che gli abitanti di Piazzatorre vivono quotidianamente una carenza cronica di servizi di base, dalle scuole (elementare e media) che non ci sono (troppo pochi bambini, che dunque se ne vanno nella limitrofa Olmo al Brembo), all'assistenza medica (presente non in modo continuativo, e per poche ore settimanali, niente dentista e pediatra non sempre immediatamente disponibile), alla farmacia (anch'essa non sempre aperta), alla raccolta dei rifiuti urbani (ancora lontana da standard di qualità di paesi analoghi ma in realtà di pianura), ai collegamenti con i centri urbani maggiori, da Piazza Brembana a San Giovanni Bianco (dove c'è l'ospedale che serve la valle), a San Pellegrino Terme, per citare i più prossimi, per raggiungere i quali occorre fare affidamento pressoché totale sui mezzi privati. Non c'è una banca, se non per uno sportello di una filiale Intesa San Paolo che sta ad Olmo, aperto anch'esso per poche ore, e privo di Bancomat.
Persino i segnali televisivi faticano ad arrivare, salvo dotarsi di parabola, e solo da poco è arrivata una banda larga wireless, grazie ad un progetto della Provincia di Bergamo, a prezzi tuttavia non incoraggianti.
Insomma, la vita a Piazzatorre, per chi ci risiede la maggior parte dell'anno, potrebbe anche non essere particolarmente agevole quando qualcosa dovesse andare storto.
In una situazione di questo tipo, ci si aspetterebbe che il rilancio d'immagine del paese passi, in primo luogo, da un potenziamento dei servizi di base, che in fin dei conti servono anche ai turisti, i quali, in effetti, li chiedono.
Mugugni e lamentele dei gruppetti di villeggianti che passeggiano lungo la via Centro o la Piazza Avis, o che stazionano nei bar del paese, sono all'ordine del giorno. Folgorante la battuta, captata al volo due estati or sono, di una signora piuttosto in là con gli anni, seduta su una panchina assieme ad una conoscente: "...il brutto di Piazzatorre, è che non c'è niente di bello". Apparentemente ingenerosa all'eccesso, la battuta va riferita non certo al territorio in cui il paese è collocato, ma al paese in , alla sua perdita di identità, alla sua inadeguatezza a sostenere il flusso di quei turisti che tanto invoca e a consentire agli abitanti di godere di maggiore qualità urbana e di servizi più organizzati.
Comprenderete che di fronte ad uno scenario come quello appena descritto, chi (turista) di Piazzatorre sente di poter fare a meno senza troppi patemi, ...lo fa, ovverosia sceglie altre mete, anche a costo di non utilizzare l'appartamento o la casa che per anni lo hanno ospitato.
Tra chi continua a recarsi lassù a passare le proprie vacanze, ci sono molti che non possono, economicamente, affrontare alternative, coloro che non se la sentono di non utilizzare l'immobile posseduto, ma anche quelli (forse pochi) che a Piazzatorre hanno imparato a volere bene, che soffrono nel vederla così bistrattata, e che inorridiscono alla sola idea che si possa immaginare di risolvere i problemi utilizzando la strada più breve, quella del far cassa svendendo ulteriormente il territorio, l'unico bene, il più prezioso, del paese, al solo fine di tenere in vita la residuale voglia di sci espressa da una porzione minoritaria (molto minoritaria) dei turisti abituali, e più attribuibile ai turisti "mordi e fuggi" da fine settimana, molto più propensi a "prendere" dal territorio che a godere di esso.

lunedì 18 agosto 2008

Cosa non ci convince

La vicenda del progetto di rilancio turistico di Piazzatorre nasce tra la primavera e l'estate del 2007. L'informazione rimane un po' sottotraccia per diversi mesi, alcuni villeggianti apprendono frammenti di notizie da parte dei residenti più avvezzi a frequentare il Comune, ma nulla più.
E' di qualche mese più tardi la pubblicazione dei primi articoli che trattano della novità, qui. Da qui in poi gli articoli, prevalentemente su web si moltiplicano, e si formano le prime opinioni sul progetto.
All'inizio della vicenda sembrano prevalere due "partiti", gli scettici e gli entusiasti "senza se e senza ma", poi, piuttosto rapidamente, questi ultimi sembrano prevalere, almeno stando al numero dei loro interventi nei forum che trattano l'argomento, in particolare
qui.
Proprio in questo forum qualcuno prova a proporre opinioni controcorrente (eravamo io e Paolo, sotto pseudonimi), e dopo pochi interventi veniamo censurati, i nostri post compaiono giusto per il tempo che qualche amministratore del forum se ne accorga e li cancelli, niente spazi ai dissenzienti, complimenti davvero.
Per nulla intimiditi né rassegnati, iniziamo a chiederci se si sia davvero solo in due ad essere increduli di fronte ad una proposta tanto impattante per un territorio così fragile ed allora diamo il via a contatti con altri villeggianti.
Lo si creda o meno, le opinioni non sono unanimi, anzi, per quanto il "campione" degli interpellati (non più di una trentina di persone) potrebbe far storcere il naso agli statistici di professione, secondo noi una certa attendibilità gliela si può concedere ed il risultato è che gli entusiasti, gli scettici ed i contrari, alla fine si equivalgono.
Gli entusiasti sono, fondamentalmente, legati alla convinzione che la contropartita offerta dagli immobiliaristi, la riapertura e la gestione degli impianti di risalita, sia il massimo per Piazzatorre e che da sola risollevi le sorti del paese.
Gli scettici, con varie sfumature, hanno poca fiducia sia nell'attuazione della proposta, sia nella sua capacità di aumentare l'appeal turistico del luogo.
I contrari, ai quali ci aggiungiamo, sono certi che ripercorrere strade già ampiamente esplorate in passato ed i cui risultati sono ben visibili, non porterà affatto ad un miglioramento complessivo dell'immagine di Piazzatorre e della sua capacità di rispondere alle richieste di servizi (che vanno oltre la possibilità di sciare per tre mesi l'anno, se va bene) da parte dei turisti.
L'espansione edilizia scriteriata, all'insegna del "più seconde case per tutti" è, a nostro modo di vedere, la principale responsabile degli attuali guai di molti paesi delle valli orobiche, non solo di Piazzatorre.
L'ostinata convinzione che lo sci possa costituire il pilastro principale su cui reggere l'economia turistica della valle è un ulteriore passo nella direzione sbagliata. Studi indipendenti e analisi svolte per la redazione del Programma Integrato di Sviluppo Locale della Comunità Montana Valle Brembana, evidenziano come quello dello sci sia un settore economico "maturo", non in grado di costituire il volano principale del comparto turistico.
Eppure, il "richiamo della foresta" sembra obnubilare le menti degli amministratori locali, a più livelli, e proprio la Comunità Montana a soli due anni di distanza dalla redazione del PISL, approva il Programma di Sviluppo Turistico, che fa piazza pulita di dubbi e incertezze e punta dritto al potenziamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale. La concorrenza di località ben più solide e blasonate? Bazzeccole. Il clima sempre meno favorevole agli sport invernali? Propaganda disfattista. Sciare sciare sciare.
E se per sciare occorrono investire capitali privati che si fa? No problem, in tempi di magra per gli investimenti finanziari che cosa garantisce rendimenti e plusvalenze al riparo dagli scossoni delle borse e dalle bizze della BCE? Ovvio, il mattone, e prima ancora la cara vecchia rendita fondiaria, per la quale i terreni non edificabili, perché adibiti a standard (verde pubblico, parchi, giardini, ecc.) magicamente si trasformano in edificabilissimi, grazie al jolly urbanistico costituito dai Programmi Integrati di Intervento.
O caspita, che bella notizia. E però, accidenti, a Piazzatorre l'unica area cash and carry è in vincolo geologico! Embè, che ci vuole, con un bello studio "di dettaglio" che mamma Regione approva in poche settimane, il vincolo se ne va.
Però c'è anche un bosco d'alto fusto, e quindi vincolo paesaggistico. Uffa, che noiosi, non penserete mica che una Comunità Montana che in quattro anni non ha trovato il tempo di fare il Piano di Indirizzo Forestale si farà venire i patemi d'animo per tagliare a raso un bosco, con tutti quelli che ci sono in giro per la valle.
Ecco, toni canzonatori a parte, le cose stanno così come le abbiamo descritte in sintesi.
Se vi chiedete ancora perché l'operazione PII non ci convince affatto, tranquilli, nei prossimi post soddisferemo le vostra curiosità.
A presto.

domenica 17 agosto 2008

Andiamo subito al sodo

Buongiorno a tutti, e bene arrivati in questo blog.
Non perderemo troppo tempo in presentazioni, ma un accenno a chi siamo è doveroso farlo.
Iniziamo col dire quanti siamo: pochi, probabilmente troppo pochi. I classici quattro gatti che hanno deciso di fare qualcosa per non subire passivamente un'iniziativa in cui non credono.
Mara, legnanese, amministratrice del blog (si è già presentata nello spazio "Autori del Blog").
Poi ci sono: (io) Paolo, ingegnere, milanese, sposato, senza figli; Claudio, artigiano, varesotto (di Busto Arsizio), sposato, tre figli; Andrea, pensionato, bergamasco, sposato, un figlio, due nipotini; Carla, casalinga, milanese, sposata.
Non siamo amici, ci accomuna solo il fatto di trascorrere da anni una parte delle nostre vacanze a Piazzatorre.
Amiamo questo piccolo paese, per come è per l'ambiente che lo circonda e che ancora (forse per poco) riesce ad esserne parte fin nell'abitato.
Piazzatorre soffre, come altri piccoli centri di montagna, il suo relativo isolamento dai centri urbani, i suoi abitanti devono, in prevalenza, cercarsi un'occupazione altrove.
Il turismo costituisce quindi una voce importante nell'economia locale e per molti anni si è puntato ad incentivare la frequentazione di questa località sia durante la stagione invernale, grazie a due piste per sci, sia durante l'estate, contando sul clima più fresco rispetto alla città e sulla bellezza dell'ambiente.
Fino ai primi anni '80 le cose sembravano andare tutto sommato bene, poi è iniziato un declino che nel giro di un decennio si è mostrato in tutta la sua pesantezza: meno visitatori, sempre più insoddisfatti, attività commerciali che annaspavano per bassa redditività, fino alla chiusura di molte di esse.
Le cause, probabilmente, sono in parte riconducibili ad una minore attrattività "generale" delle piccole località di montagna, che con l'aprirsi al pubblico italiano di mete italiane ed estere prima meno abbordabili, hanno subito mostrato la loro scarsa capacità di reazione.
Ma nel caso di Piazzatorre c'è una causa tutta "locale", per quanto molto comune alla Valle Brembana: l'abnorme crescita edilizia centrata sulle "seconde case", un fenomeno iniziato sin dagli anni '60, ma sfuggito ad ogni controllo nei due decenni successivi.
Oggi, Piazzatorre, paese di poco meno di cinquecento anime, ha sul suo territorio abitazioni per circa ottomila persone!
Case che per la maggior parte dell'anno ormai restano disabitate, molte di loro portano da anni, su un muro o su un balcone, il cartello "vendesi", molte il cartello "affittasi", ma neppure in quest'ultimo caso il desiderio del proprietario trova realizzazione.
La speculazione edilizia che Calvino descrisse così bene per la Liguria, qui ha trovato terreno altrettanto fertile, assieme ad una capacità di governare la trasformazione del territorio ancora più infima di quella di certi comuni liguri.
Piazzatorre è un concentrato di condomini e ville a schiera, più o meno gradevoli secondo i gusti, in quantità tale da farla assomigliare ad un quartiere periferico di una qualsiasi media città di pianura, in compenso non esistono i servizi che le città offrono e quando, di solito nelle settimane centrali di agosto, il paese registra la massima affluenza turistica, il caos è palpabile (e l'irritazione dei turisti pure).
Nel 2007, di fronte ad una realtà da tristezza prossima alla depressione, l'amministrazione comunale, all'epoca era decisamente allo sbando causa lotte interne alla maggioranza, estrasse dal proprio cilindro il coniglio della riscossa: un progetto di "rilancio" basato su un "programma integrato di intervento" (PII).
Chi volesse sapere cosa è un PII, o meglio come viene disciplinato nella nostra regione, troverà il testo della legge regionale qui.
E quale è la soluzione proposta attraverso il PII? Una nuova edificazione di seconde case, per circa 65.000 metri cubi, capace di ospitare altri 455 abitanti.
Complimenti davvero.
La contropartita? Davvero modesta riteniamo, tant'è che se fossimo i due operatori immobiliari che si sono accaparrati questa ricca torta, ci fregheremmo le mani: un paio di giardinetti (da costruirsi sopra le autorimesse di qualcuno dei nuovi palazzi, sic) e, ecco la genialata, la ristrutturazione degli impianti da sci e la loro gestione per dieci anni.
Nei prossimi post daremo altre informazioni, qui chiudiamo rimandandovi a questo link, giusto per chiarire che il Comune è davvero intenzionato a giocare il tutto per tutto:
cronistoria.
Una prima edificante lettura che vi consigliamo è questa: il documento di sintesi predisposto (su incarico di chi? Non del Comune immaginiamo) per escludere dalla Valutazione Ambientale Strategica il PII (e certo, non vorremo mica perdere tempo in inutili valutazioni?).
A presto.
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