Un altro intervento del prof. Daidola, a pochi giorni di distanza da quello del 1° marzo 2005. Qui si spezza una lancia in favore delle piccole stazioni sciistiche, ma ad alcune condizioni.
Da “L’Adige” di Trento del 7 marzo 2005
Lo sci non si cura con i "passaggi"
di Giorgio Daidola
Lo sci non si cura con i "passaggi"
di Giorgio Daidola
Leggo sull’Adige del 2 marzo: "Pedrotti [Alberto Pedrotti, all'epoca, e tuttora, Presidente della Sezione Impianti a fune di Confindustria - Trento] a Daidola: lo sci non è in crisi". Il motivo sarebbe che "il numero di passaggi è costante". Risposta: il numero di passaggi è costante solo in particolari comprensori come il Dolomiti Superski, dove con agguerrite e costose operazioni di marketing si è riusciti a sostituire i clienti italiani e tedeschi con quelli dei Paesi dell’Est. Quando si parla di crisi dello sci si parla di una tendenza generale e non locale. Di una tendenza di lungo termine e non di tentativi di tappar buchi nel breve termine. Inoltre, la crisi dello sci deve essere valutata con parametri diversi dal "numero di passaggi" e cioè in termini di variazioni valore aggiunto (ricchezza prodotta) e di redditività (effettiva, al netto dei contributi) dalle aziende di trasporto a fune.
Leggo poi che "la diminuzione si avverte di più nelle stazioni minori": vero, purtroppo in tutto il mondo è in corso una concentrazione degli impianti in megastazioni. Ma ciò è oltremodo negativo per il futuro dello sci. Ciò avviene perché le piccole stazioni scimmiottano le grandi, cercando di svilupparsi seguendo i demenziali modelli di queste ultime. Le piccole stazioni invece, proprio perché solo piccole, sono quelle che avrebbero tutte le possibilità di trasformarsi in laboratori del turismo invernale (e non solo invernale) del futuro. Occorrerebbe solo inculcare in esse una buona iniezione di creatività, di conoscenza della storia e della cultura dello sci, di consapevolezza dei valori che ancora custodiscono. Paradossalmente le piccole stazioni sono in vantaggio rispetto ai grandi comprensori nel lungo termine, essendo questi ultimi destinati a costosissime riconversioni o ad un veloce degrado. E le piccole e medie stazioni così gestite non soffriranno, come dice il dott. Pedrotti, se i contributi pubblici verranno ridotti, come vuole giustamente l'Unione Europea. In particolare non ci sarà bisogno di affermare che "gli enti pubblici dovranno diventare azionisti". A parte che si tratterebbe della solita vergognosa tendenza italiana ad aggirare le leggi, significherebbe andar contro ai processi di "privatizzazione" ovunque in atto nell'economia.
La strategia riportata dal dott. Pedrotti per far fronte alla crisi (non ammessa) delle grandi stazioni è quella ben nota di diminuire il numero degli impianti ed aumentarne la portata. Mi si consenta di dire che si tratta di una strategia miope, tratta senza i necessari adattamenti dai manuali sulla gestione della produzione nella grande industria. Essa è infatti responsabile dell'affollamento insostenibile delle piste, causa prima dell'aumento degli incidenti e dell'obbligo di sciare con il casco. Ciò anche in conseguenza della portata degli impianti moderni, che annulla le code e i momenti di riposo in seggiovia durante la risalita. E l'affollamento delle piste rende necessario l'innevamento artificiale, l'unica che "tiene" al passaggio di migliaia di sciatori e così il cerchio si chiude sulle "responsabilità" prime dell'invenzione della neve finta.
Riguardo alle sciovie, ossia agli impianti più leggeri e flessibili, Pedrotti dice che non sono state eliminati ma sono passati (in Trentino) da 186 a 80 dal 1985 ad oggi. Ammette che in Francia ed in Austria non si è seguita la stessa strategia. Dice che è la clientela delle nostre stazioni a non volere più gli skilift. Ammesso che sia vero (la clientela dello sci è sempre più internazionale, quanti trentini vanno a sciare in Austria ed in Francia, semplicemente perché ci si diverte di più, non sto qui a spiegare il perché) non si capisce di questa "peculiarità" del cliente tipo delle nostre stazioni. La verità è che si raccoglie quello che si semina, attraverso un utilizzo sbagliato ed immorale del marketing, che da funzione essenziale di analisi della domanda è stato trasformato in un modo per influenzare (profondamente) la domanda stessa. Gli sciatori di massa sono così diventati come dei bambini viziati, e la colpa è appunto delle aggressive strategie di marketing adottate. Strategie che hanno portato a sciatori in grado di sciare solo su piste lisce come biliardi e con sci che girano da soli, annullando il piacere di impostare una curva. Sciatori il cui desiderio di sciare viene sollecitato in autunno quando la neve (vera) da sempre è un eccezione, con la conseguenza che quando è primavera ed inizia la stagione più bella dello sci più nessuno ha voglia, capacità (e già, la neve è quella vera!) e quattrini (spesi tutti nelle poche costose domeniche invernali dedicate allo sci) di/per sciare.
La chicca finale a questo devastante modo di agire degli "uomini di marketing" del turismo invernale sono le accurate indagini di "customer satisfaction" che dovrebbero "provare" la soddisfazione dello sciatore: si tratta niente altro che di modi per valutare l'efficacia delle politiche di marketing immorali di cui dicevo sopra. Evidentemente il dott. Pedrotti pensa che sia giusto fare così e c'è poco da fare, nel breve termine, per far cambiare simili modi di pensare, purtroppo dominanti. Politici ed impiantisti si fanno forti del sostegno della popolazione delle grandi stazioni di sci, arricchita troppo velocemente grazie allo "oro bianco" (che non è più il latte di montagna ed i suoi derivati ma appunto l'industria dello sci). Verissimo che grazie agli impianti in deficit si sostiene questa ricca economia basata sul turismo della zona. Ma a quale prezzo? Con quali conseguenze devastanti sull'ambiente e sulla identità della cultura dei locali che hanno sempre di più gusti e sensibilità (acquisiti troppo velocemente, con i risultati che si vedono) da abitanti della pianura? Con quale strategia a lungo termine, con quella dello sviluppo economico senza se e senza ma? Se si dimostrasse che la costruzione di una industria chimica altamente inquinante in Val di Fassa darebbe più occupazione e più valore aggiunto del turismo forse si opterebbe per la sua costruzione?
La verità è che ci sono altri modi per arrivare ad un benessere più equilibrato delle popolazioni locali che evidentemente il dott. Pedrotti e tutti quelli che la pensano come lui non conoscono o sottovalutano. Prova ne è che afferma: "la settimana bianca in malga piacerà al professor Daidola ma la gente apprezza i caroselli". Vada a vedere di persona il dott. Pedrotti qual è l'affluenza nelle malghe e nei rifugi con servizio di albergo (non servite da impianti e strade) dell'Alto Adige, dell'Austria, del Queyras francese, della British Columbia canadese e forse cambierà idea. Ho detto "di persona" perché così avrà modo di vedere ospiti che esprimono genuina felicità e non solo sciatori ingrugniti che non ti rivolgono neppure la parola quando sei su di una seggiovia pluriposto. Mi permetto di suggerirgli per queste bellissime giornate di marzo un weekend o una settimana bianca al rifugio-albergo Lavarella o al rifugio albergo Fanes nel Parco naturale di Fanes-Senes-Braies in Alto Adige. Forse così avremo modo di conoscerci, di discutere e di picchiarci (in un duello sulla neve vera) di santa ragione. Con un consiglio però: prenoti subito perché in queste oasi di vero turismo della neve (per tutti, non solo per gli scialpinisti) non ci vado solo io come pensa lui: esse sono sempre complete da Natale a Pasqua.
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