Leggendo un commento sul forum vallare, relativo al topic sul progetto "di rilancio" di Piazzatorre, mi ha colpito questa frase: "Forse perderemo un po' di pineta? Forse vedremo qualche abitazione in più? Forse un pochino più di cemento? Sicuramente chi darà il benestare alle costruzioni sarà attentissimo alla tipologia estetica di ambientazione dei nuovi edifici e poi ....... ??? Vogliamo contare che le due colonie del paese riprenderanno vita? Che non saranno più delle costruzioni orride e maltenute? Quanto valore aggiunto ci sarà nella Piazza del paese??? Avete la minima idea di cosa dicono gli amici che porto a PIAZZATORRE, appena passano di fianco alla colonia Bergamasca??? Io direi che il giusto compromesso ci sarà e tutto quello fatto fino adesso non merita commenti negativi. Da adesso anche tecnicamente parte una NUOVA ERA!!!".
Ho evidenziato in neretto alcune parole, perché più di altre mi hanno convinto che, in generale e non solo per lo specifico caso di Piazzatorre, l'atteggiamento di molte persone verso certi progetti urbani sia condizionato da un equivoco di fondo.
Questo equivoco vuole che "urbanistica" e "edilizia" siano sinonime, due parole ma un unico significato. Solo così mi spiego come si possano pesare, come fossero posate su una bilancia a due braccia, due parole che hanno un significato totalmente diverso.
Come si fa, altrimenti, ad ammettere senza esitazioni che "un po'" di pineta in meno e "un pochino" di cemento in più, saranno compensati dalla (peraltro, ipotetica) attenzione all'estetica delle nuove abitazioni? Come si fa a sentenziare di "giusto compromesso"?
Attraverso, appunto, quell'equivoco alimentato almeno negli ultimi due decenni, ovvero dopo la prematura morte dell'urbanistica in Italia [1], per il quale non (ed almeno) l'architettura, bensì la tecnologia edilizia, sarebbe la panacea per i mali della città. Equivoco ben pasciuto a forza di leggi che hanno inculcato nella mente di progettisti e costruttori prima, degli immobiliaristi poi, che con gli imbellettamenti tecnologici, con la medaglietta della bioedilizia, con le innovazionni impiantistiche, avremmo costruito edifici sempre più belli, più eleganti, più vivibili, più, più, più....
Indottrinati della falsa coscienza autoassolutoria di tutti coloro (dai legislatori, agli Ordini professionali, ai tecnici pubblici) che da tempo hanno dimenticato che una città si costruisce a partire da un concetto, da un'idea, avendo ben chiaro un obiettivo da raggiungere, ci siamo convinti che i nostri paesi in fondo siano nati come sommatoria di edifici costruiti qua e là quasi per caso, senza una ragione precisa se non quella di avere un tetto sopra la testa, e che, allora, la bacchetta magica della tecnologia edilizia sia la salvifica ricetta per avere non solo edifici migliori ma città migliori.
Ecco che, a queste condizioni, le regole basilari del "costruire la città" perdono significato, tutto si amalgama in un indigesto porridge per il quale anche il peggio quartiere della più disumana periferia diventa un bijoux se metti il fotovoltaico sui tetti, i doppi vetri alle finestre, il cappotto esterno per isolare i muri, scaldi l'acqua con la geotermia e dipingi le pareti con le vernici "biologiche".
Insomma, il piatto di portata te lo puoi anche scordare, tanto t'abbiam riempito di contorni.
La "nuova era" del commentatore citato è vecchia quanto il mondo.
A mille, invece, il relativismo inconsapevole: quando quattro ettari di pineta sono "un po' di pineta"? Quando 16.000 mq di Superficie Lorda di pavimento sono "un pochino di cemento"? Quando circa 250 appartamenti sono "qualche abitazione in più"? Quale è il parametro di riferimento, Milano? Bergamo? la Lombardia?
Il legittimo desiderio di vedere "rivivere" due ex colonie (non rivivranno come tali, saranno, giustamente, altro) e di vedere gli amici non più perplessi o schifati di fronte al loro abbandono, rende così acritici da far digerire qualsiasi cosa? Accidenti, meglio dell'Alka Seltzer.
Ho evidenziato in neretto alcune parole, perché più di altre mi hanno convinto che, in generale e non solo per lo specifico caso di Piazzatorre, l'atteggiamento di molte persone verso certi progetti urbani sia condizionato da un equivoco di fondo.
Questo equivoco vuole che "urbanistica" e "edilizia" siano sinonime, due parole ma un unico significato. Solo così mi spiego come si possano pesare, come fossero posate su una bilancia a due braccia, due parole che hanno un significato totalmente diverso.
Come si fa, altrimenti, ad ammettere senza esitazioni che "un po'" di pineta in meno e "un pochino" di cemento in più, saranno compensati dalla (peraltro, ipotetica) attenzione all'estetica delle nuove abitazioni? Come si fa a sentenziare di "giusto compromesso"?
Attraverso, appunto, quell'equivoco alimentato almeno negli ultimi due decenni, ovvero dopo la prematura morte dell'urbanistica in Italia [1], per il quale non (ed almeno) l'architettura, bensì la tecnologia edilizia, sarebbe la panacea per i mali della città. Equivoco ben pasciuto a forza di leggi che hanno inculcato nella mente di progettisti e costruttori prima, degli immobiliaristi poi, che con gli imbellettamenti tecnologici, con la medaglietta della bioedilizia, con le innovazionni impiantistiche, avremmo costruito edifici sempre più belli, più eleganti, più vivibili, più, più, più....
Indottrinati della falsa coscienza autoassolutoria di tutti coloro (dai legislatori, agli Ordini professionali, ai tecnici pubblici) che da tempo hanno dimenticato che una città si costruisce a partire da un concetto, da un'idea, avendo ben chiaro un obiettivo da raggiungere, ci siamo convinti che i nostri paesi in fondo siano nati come sommatoria di edifici costruiti qua e là quasi per caso, senza una ragione precisa se non quella di avere un tetto sopra la testa, e che, allora, la bacchetta magica della tecnologia edilizia sia la salvifica ricetta per avere non solo edifici migliori ma città migliori.
Ecco che, a queste condizioni, le regole basilari del "costruire la città" perdono significato, tutto si amalgama in un indigesto porridge per il quale anche il peggio quartiere della più disumana periferia diventa un bijoux se metti il fotovoltaico sui tetti, i doppi vetri alle finestre, il cappotto esterno per isolare i muri, scaldi l'acqua con la geotermia e dipingi le pareti con le vernici "biologiche".
Insomma, il piatto di portata te lo puoi anche scordare, tanto t'abbiam riempito di contorni.
La "nuova era" del commentatore citato è vecchia quanto il mondo.
A mille, invece, il relativismo inconsapevole: quando quattro ettari di pineta sono "un po' di pineta"? Quando 16.000 mq di Superficie Lorda di pavimento sono "un pochino di cemento"? Quando circa 250 appartamenti sono "qualche abitazione in più"? Quale è il parametro di riferimento, Milano? Bergamo? la Lombardia?
Il legittimo desiderio di vedere "rivivere" due ex colonie (non rivivranno come tali, saranno, giustamente, altro) e di vedere gli amici non più perplessi o schifati di fronte al loro abbandono, rende così acritici da far digerire qualsiasi cosa? Accidenti, meglio dell'Alka Seltzer.
[1] almeno di quella poca buona che c'era, quella pessima vive e lotta in mezzo a noi.
non mi è mai capitato di trovare qualcheduno che tenga così spassionatamente alla gastrite degli amici
RispondiEliminatanti che portano l'acqua al proprio mulino e questi è uno di quelli